Angelo Branduardi e la figura del Padre

C’è un cantautore, anzi, un musicista cantatore che come pochi altri ha dato un posto di rilievo alla figura del padre nella sua dimensione creativa. Parliamo di Angelo Branduardi, quello che dedicò al padre l’album eponimo del 1981, quel padre che il piccolo futuro menestrello sorprendeva spesso nella sua stanza a mimare la gestualità del direttore d’orchestra ascoltando uno dei suoi dischi d’opera preferiti.

Ma Branduardi è anche quello che ci ha restituito un San Giuseppe recalcitrante di fronte alla richiesta di ciliegie della sua sposa senza mai nominarlo ma facendocelo intuire, splendido proprio in questo presunto anonimato. Ma c’è anche l’Angelo padre della splendida canzone per Sarah uno dei brani più sottovalutati nella discografia del menestrello con quell’ipnotico tappeto di chitarre in re maggiore tra glissate e contrappunti di grande qualità.

“Dormi e non pensare

Avrai un amico cane

E abbaierà alla luna

E i rospi del fossato

E il tuo campo di dalie

E l’albero di pino

E l’ombra dei suoi rami”

Altro che l’Avrai di Baglioni, con tutto il rispetto…

E c’è ancora il padre de Gli Alberi sono alti (la Luna, 1975) cui la figlia rivolge il suo lamento accorato che chiama in causa il tempo, la fuggevolezza della vita e degli amori, temi così cari ad Angelo.

E infine per un artista che sorprende a ogni iniziativa la splendida lettera al padre del 1° aprile del 1965 (Pane e rose, 1988) un Che Guevara tenero veramente e non da proclama, un guerrigliero sull’orlo del fallimento e che di fronte all’incombenza della morte richiama la centralità degli affetti.

Ma si potrebbe continuare con Storia di mio figlio dal primo album del ’74 e ancora la Strega che fugge dall’orto di suo padre da Cogli la Prima mela, la voce narrante de I Tre Mercanti (Angelo Branduardi ’81) che è un po’ il padre della sua tribù nomade in cerca di una misteriosa stella.

Perché nella figura del padre, c’è sempre nascosto un mistero, che la carne da sola non basta a contenere. Grazie ad Angelo anche per questo quasi inconsapevole alludere a qualcosa che ci supera. Sempre.

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